LA GIOVANE GINNASTA SI SFOGA IN UN TEMA

Breve riflessione sulla scrittura autobiografica in infanzia ed adolescenza

In questi giorni è scoppiato il caso dell’abuso psicologico denunciato da alcune atlete della ginnastica: si scopre il clima di terrore e la forte pressione psicologica subite sul piano dell’adeguatezza ai canoni imposti dagli alti livelli della competizione raggiunti, soprattutto sulle questioni del peso e aspetto fisico.

L’argomento è di grande complessità e sarebbe ingenuo pensare che riguardi solo un allenatore o una federazione e non sia piuttosto solo la punta dell’iceberg di una rete complessa di relazioni personali, familiari ma anche di prestigio e di immagine, o di ideale umano o di orgoglio nazionale. Ma tutto è venuto alla luce grazie ad una forma di comunicazione davvero poco frequentata da bambini ed adolescenti: la scrittura di sé, il tradizionale tema in classe. L’onda d’urto poi ha coinvolto un altro mediatore linguistico, stavolta indissolubilmente connesso ai nostri giovani, cioè l’utilizzo dei post sui social. Quindi oggi il focus della mia riflessione riguarda la scrittura autobiografica in infanzia ed adolescenza: da più di vent’anni si è diffuso e consolidato il metodo della scrittura autobiografica come occasione di crescita, scoperta e valorizzazione di sé utilizzato soprattutto a partire dall’età adulta.

Scrivere di sé è possibile fin da piccoli.

Ce lo hanno insegnato i padri della psicologia dello sviluppo: il bambino cresce e apprende immerso in una spirale ascendente in cui esperienza, pensiero, linguaggio, affettività e modelli che ha a disposizione costruiscono sinergicamente le basi della sua identità.

Ce lo ha insegnato il grande Gianni Rodari, quando si riprometteva di inserire una nuova materia a scuola: “ La grammatica della fantasia”; attraverso le sue riflessioni siamo stati accompagnati a scoprire e rispettare una idea di bambino creativo, aperto e curioso.

Ce lo hanno insegnato Mario Lodi, che faceva scrivere ai bambini un giornaleLoris Malaguzzi nelle Scuole di Reggio quando pone al centro del “cantiere” di apprendimento la narrazione dei bambini, a partire dai piccolissimi.

Eppure, quando si chiede a grandi e piccini che cosa provano di fronte alla pagina bianca che li attende, spesso si raccolgono narrazioni di ansia, inadeguatezza e forzatura o il ricordo di giudizi trancianti. Impossibile continuare a fare paragoni con il passato: il contesto socio culturale e soprattutto comunicativo, l’”infosfera” nella quale siamo immersi anziché facilitare ingabbia, invece di aiutare ad esprimere, spinge verso la creazione di infiniti avatar di sé. Oppure si chiedono rapide scorciatoie di metodo perché lo scritto diventi “virale” o catturi tanti like, mentre spesso a scuola si restringe la possibilità di espressione a tassonomie di competenze sapientemente organizzate.

Un approccio di scrittura autobiografica che si collochi nelle sue caratteristiche evolutive, cognitive ed emotive non solo è possibile ma addirittura auspicabile: il bambino ha bisogno che gli vengano concessi tempi DISTESI, tempi di ASCOLTO, tempi di SILENZIO nei quali il silenzio non sia una minaccia, un sintomo, ma una zona di conforto alla scoperta di sé stesso; ha bisogno di spazi in cui poter SCEGLIERE se stare da solo o CONDIVIDERE, nei quali siano presenti alcuni elementi fondamentali dell’avvio alla scrittura di sé: un quaderno, una penna, un contributo letto o ascoltato, parole che vengono da altri, donate ma che toccano e liberano il mondo di parole nascoste dentro di sé. Tempo e spazio strutturano un ritmo di svolgimento dell’esperienza, che si ripete negli incontri, fornendo nella ciclicità delle azioni una pacificazione interiore, un atteggiamento riflessivo.

Ha bisogno di essere accompagnato, mai giudicato: perché mai un bambino dovrebbe aver voglia di scrivere o parlare se non trova qualcuno realmente disposto ad ascoltarlo?

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