LA VIOLENZA TRA I GIOVANISSIMI

Le notizie di cronaca di questi giorni ci stanno rendendo spettatori di un aumento impressionante di episodi di violenza cieca ed ingiustificata da parte di giovanissime e giovanissimi: da soli, in coppia o in gruppo diventano protagonisti di scene amplificate dalla circolazione virale in rete. Un tema che colpisce molto gli adulti ma non sembra affatto occasione di riflessione per ragazzini e adolescenti; se invitati a commentare infatti, alternano due reazioni opposte: troviamo coloro che ammettono ansia e paura, ma molto più frequenti sono i ragazzi che riferiscono di questa “normalizzazione” della violenza, fisica ma anche verbale, gestuale e virtuale, veicolata dai social. Insomma, essere aggrediti o aggredire è una delle opzioni possibili di una serata tra amici o di una mattinata a scuola.

“Non so più che fare!”

Tutti noi assistiamo, attoniti, a questa deriva dei comportamenti e delle relazioni e quando ne parliamo non resistiamo alla tentazione di ricadere nello schema “di chi è la colpa”, un circolo vizioso sulla base di pregiudizi e stereotipi. Per i genitori spesso si apre un periodo di grande sofferenza ed impotenza, in una dimensione più intima e personale ma anche di fronte alle responsabilità sociali nel controllo del comportamento dei propri figli. Da dove ripartire? A chi chiedere un aiuto?

La sfida attuale alla genitorialità:
EDUCARE ALLE EMOZIONI

Negli ultimi trent’anni, da quando si è iniziato a parlare di intelligenza emotiva (Goleman) in poi, il costrutto teorico che maggiormente risponde alle domande che ci siamo posti sembra essere quello delle Life Skills; secondo la definizione dell’OMS le Life Skills costituiscono l’insieme di abilità personali e sociali indispensabili per fronteggiare le sfide e le richieste che si presentano nei diversi contesti di vita quotidiano. Carenze in queste abilità possono quindi ostacolare l’adeguato sviluppo psicologico, affettivo, scolastico e sociale dell’individuo e determinare la manifestazione di comportamenti a rischio. Le Life Skills riguardano le aree di funzionamento cognitivo, affettivo, relazionale ed emotivo ed implicano processi complessi come le capacità di prendere decisioni, il problem solving, il pensiero creativo, il senso critico, le capacità di relazionarsi per mezzo di una comunicazione efficace, l’autocoscienza, l’empatia, la regolazione delle emozioni e la gestione dello stress. A partire dai primissimi anni di vita due sono le abilità che stanno alla base di tutte le altre: l’autoregolazione emotiva e lo sviluppo delle abilità sociali, tra le quali spicca l’empatia.  Ma tutte queste abilità si imparano a contatto con le figure che si prendono cura del bambino, in particolare tra i 3 e i 7 anni! Al di là di differenze neurotipiche e di temperamento, le competenze emotive del bambino vengono certamente influenzate dal comportamento dei genitori e dal modo con cui essi gestiscono l’educazione emotiva.

Cosa significa “regolazione emotiva”?

Le emozioni sono sistemi molto complessi; innanzi tutti si manifestano attraverso una attivazione fisiologica, spesso incontrollata e a volte ancora sconosciuta al soggetto stesso. Alla presa di consapevolezza dell’attivazione si associa una esperienza affettiva del tutto soggettiva; a questo si associano poi elementi cognitivi di rappresentazione e comprensione; infine, il bambino sperimenterà una sua propria predisposizione ad agire, a mettere in atto risposte espressive verbali e non verbali.

Essere genitori autorevoli: cosa fare dunque per favorire una buona regolazione emotiva?

Ogni genitore può intraprendere un percorso graduale per “allenarsi a diventare coach emotivo dei propri figli”, a patto che riconosca ed eviti tre atteggiamenti fortemente limitanti: respingere, disapprovare e ignorare.

 

Il genitore che respinge le emozioni negative del bambino è quello che dice “Non è importante, per così poco!” “In questa famiglia non si ha paura di queste cose!”

Il genitore che disapprova è quello che dice “Non sei un bravo bambino, non ti ho insegnato così!”

Il genitore che ignora è quello che non interviene “Vedrai che passa, cosa ci vuoi fare!” o, ancora peggio, fa dell’ironia o del sarcasmo sulle manifestazioni emotive del bambino.

 

I genitori autorevoli sono affettuosi e reattivi, definiscono delle regole e dei criteri di relazione, si aspettano maturità e cooperazione nella misura adeguata al livello di sviluppo del bambino. E cercano di guidare il comportamento ragionando con i loro figli.

 

Come immaginare una educazione alle emozioni per i propri figli? Proviamo ad esemplificare qualche passaggio:

  1. Prendere coscienza delle emozioni, creando un clima di accettazione in famiglia, nella convinzione che riconoscere le emozioni è una opportunità per bambini e adulti e l’occasione di assumere un ruolo consapevole di genitore, soprattutto nei riguardi delle emozioni negative.
  2. Accettare e convalidare i sentimenti dei figli, sintonizzarsi: sperimentare ed insegnare l’empatia, evitare il clima giudicante.
  3. Verbalizzare sempre le emozioni, lo stato fisiologico connesso, lo stato psicologico con storytelling, immagini, parole, dare etichette verbali alle emozioni.
  4. Individuare le strategie di coping, cioè i comportamenti buoni che aiutano ad affrontare e gestire le emozioni, e farli diventare occasione di dialogo e confronto, in modo che siano modelli di azione da recuperare all’occorrenza.

Uno studio interessante: I bambini si comportano meglio quando vengono stimolate le pratiche di coaching emotivo dei genitori?

I collegamenti tra le pratiche di regolazione delle emozioni dei genitori e i risultati comportamentali dei bambini sono ben consolidati. Lo scopo dello studio era di testare sperimentalmente se e in che misura stimolare le pratiche di coaching emotivo dei genitori migliora i risultati comportamentali dei bambini in età prescolare, vale a dire affetto positivo, irritabilità, non conformità, persistenza ed entusiasmo. In linea con questo obiettivo, le pratiche di coaching emotivo dei genitori di bambini di età compresa tra 4 e 5 anni sono state stimolate in una breve sessione di laboratorio di 15 minuti. Immediatamente dopo, genitori e bambini sono stati osservati durante una sessione di gioco libero e compiti di laboratorio sulla frustrazione, progettati per suscitare emozioni negative nei bambini. I risultati hanno indicato che, rispetto al gruppo di controllo, i genitori le cui pratiche di coaching emotivo erano state stimolate mostravano un affetto positivo più elevato ed erano più sensibili emotivamente durante il gioco libero. I comportamenti positivi persistevano nei compiti frustranti; i genitori erano più reattivi dal punto di vista comportamentale ed emotivo nei confronti dei loro figli. A loro volta, i figli di questi genitori hanno mostrato maggiore perseveranza ed entusiasmo. (Loop e Roskam 2016).  

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